Memorie

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Un'incrollabile fede nel Cristo Vivente. La vita di Emma Palmieri

di Donato Trovarelli

Il 15 marzo 2010 a Pescara alle 8,03 è deceduta Emma PALMIERI ved. Trovarelli all’età di 95 anni. Era nata a Bisaccia (AV) il 30 gennaio 1915, secondogenita di 6 fratelli e sorelle.

Figlia del past. battista don Lorenzo Palmieri e di Olivia Castelluccio, duchessa rinunciataria, fu educata in gioventù in un collegio battista inglese a La Spezia, diretto dal past. Pullen.

A 22 anni ci fu un episodio che le cambiò la vita: guarì miracolosamente dal tifo, preso bevendo acqua da un pozzo contaminato. Lei vide Gesù in sfolgorante veste di luce che le diceva: “Non è ancora il momento: vai avanti!” Fu come se fosse “nata di nuovo”, perché sapeva che Dio esisteva e che era amata dal suo Gesù.

Vincitrice di concorso magistrale, fra i primi su diecimila concorrenti, prese ad insegnare nella scuola elementare con classi di oltre 70 alunni.

Suo padre aveva anche stampato un abbecedario (sussidiario) per le classi prime del Regno d’Italia.

Con il padre faceva un duetto in chiesa con l’inno 279 che lui cominciava dal pulpito (Quale un faro risplendente / Delle notte rompe il vel. /Tal di Dio l’amore ardente /Cerca l’uomo e il guida al ciel) e che lei continuava dal fondo della sala cantando l’assolo del ritornello:

O Signore la tua luce

Splende viva in mezzo al mar,

Essa sola a Te conduce

Il perduto marinar.

Un grande lutto segnò l’intera sua famiglia: il fratello maggiore Antonio, violinista e atleta, con il quale per anni faceva il pane alle 4 di mattina, morì improvvisamente di meningite, mentre era all’accademia della Guardia di Finanza. Gli oscuri ed imperscrutabili piani del Signore rimasero per sempre in Emma e in tutti gli altri membri della sua famiglia come un interrogativo al quale non ci fu mai risposta.

Il 10 aprile 1938, a 62 anni ci fu la dipartita anche del padre a Bari, ricoverato in clinica per un’ernia, che però non fu possibile operare, per l’elevato tasso di glicemia per il quale andò in coma.

L’Ucebi (Unione cristiana evangelica battista italiana) per bocca del past. Wittinghill, espresse il vivo cordoglio per la perdita di un vero soldato della fede in Gesù.

Il 21 giugno 1941 si sposò con Giustino Trovarelli, capo-tecnico della Montecatini di Barletta e con lui ha vissuto una vita serena e felice per 64 anni. Fu per anni diaconessa nella chiesa battista di Gioia del Colle (BA) e poi anche a Barletta (BA), al tempo del past. Ciambellotti.

Dal 1948 si trasferirono a Pescara per il nuovo lavoro del marito, inventore, divenuto titolare di un’officina meccanica specializzata di rettifiche e ricambi.

Ai tre figli barlettani Astorre, Lorenzo e Flora si unì l’ultimogenito “pescarese” Donato; a Pescara è stata nonna amorosa di 8 nipoti: Miriam, Ester, Filippo, Sara, Paola, Flavia, Alberto e Marco.

In 41 anni di insegnamento ha collezionato encomi per attività teatrali e soddisfazioni per la buona riuscita di tutti i suoi alunni e alunne. Nel 1975 a conclusione della sua carriera, fu insignita di medaglia d’oro.

Amava la musica classica e soprattutto lirica, di cui conosceva intere opere a memoria e che cantava con voce da soprano leggero. Molte sue alunne l’hanno ricordata fino agli ultimi istanti della sua vita, per l’amore da lei infuso, anche attraverso l’insegnamento di opere liriche, quali l’Aida, la Traviata, il Nabucco, ecc..

Membro della Chiesa Metodista di Pescara, sita dapprima in Via Palermo, poi in via Roma ed infine in via Aterno, fu anche Delegata al Sinodo Valdese-Metodista nel 1985.

La sua incrollabile fede in un Cristo Vivente, l’ha sempre spinta ad essere esempio di onestà e di rettitudine per tutti, sia evangelici correligionari che cattolici.

Stimatissima in ambito scolastico fu anche richiesta per diversi anni dalle suore della Domus Mariae di Pescara come Presidente di Commissione per gli esami di quinta e dal parroco don Paglione per le attività corali nella chiesa di Sant’Andrea, istituendo un coro che poi divenne il famoso “Coro di Sant’Andrea”.

Negli anni della sua vecchiaia, pur colpita da due ictus, si era sempre ripresa al meglio, ascoltando e cantando gli inni cristiani della sua gioventù, stampati indelebilmente nella sua memoria. Ha affrontato fino all’ultimo ogni sofferenza le venisse sul suo corpo, infondendo coraggio in tutti coloro che l’hanno assistita, restituendo per gratitudine un sorriso spontaneo, come se ogni cura a lei profusa fosse sempre un dono del Signore.

Nell’ultimo mese di vita, stroncata da una banale influenza, si è addormentata, stanca e sazia di giorni, e alle ore 8,03 è tornata alla Casa del Padre Celeste, nel Regno di Luce, per ricongiungersi con Gesù Cristo e con i suoi cari che l’avevano preceduta nella fede.

Con lei, se n’è andata una colonna posta sulla Terra a dimostrare che si può vivere di Cristo, senza gli orpelli delle religioni conformiste e mercenarie. La vera gloria non sta su questa Terra, ma nel Cielo, dove tutti sono invitati più spesso a guardare.

L’Evangelo di Emma Palmieri non era fatto di parole e di prediche, ma di esempi di amore e di generosa solidarietà con gli ultimi, i miseri e i bisognosi.

Ogni gesto, ogni pensiero, ogni momento della sua vita era improntato a mantenere alto quel concetto cristiano di morale che le aveva insegnato suo padre e quando doveva ascoltare qualcosa di sconcio, lei usava apostrofare: “Haec non nominetur in nobis”, cioè non offendiamo le nostre orecchie con simile turpiloquio.

Nella sua lunga vita, sicuramente aveva riempito il cielo delle sue opere, frutto del suo ottimismo e della sua fede, che solo Dio adesso paleserà alla memoria eterna davanti agli angeli.

Al funerale, il figlio Donato ha ricordato i motti della sua vita e i passi biblici più amati della sua cara madre: "Gesù gli disse: Io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me." (Giovanni 14:6)

Spesso aveva “evangelizzato” centinaia di persone ricordando con questo passo che l’Unico Mediatore è, è stato e sempre sarà Gesù Cristo, Vero Dio e Salvatore.

Un altro passo significativo era: “Io sono la Resurrezione e la Vita; chi crede in Me, anche se muoia, vivrà, e chiunque vive e crede in Me, non morrà mai." (Giovanni 11:25-26)

Il grande mistero della vita e della morte, ignoto a savi e superbi, era invece a lei rivelato per fede mediante il passo di Romani 8:11: “E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.”

La certezza in ciò che invece tutti sperano, l’ha accompagnata fino all’ultimo respiro.

Il suo sorriso è stampato indelebilmente nei cuori, quel sorriso che la appariva spontaneo quando qualcuno della famiglia la chiamava con il titolo di “principessa di Gesù” o le metteva il bavaglino “mandatole da suo padre dal Paradiso”

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    Storia di nuovi colportori nel tempo dell’ecumenismo

    di Pinuccia De Crescenzo Mariani

    Dormivo e sognavo che la vita era gioia; mi svegliai e vidi che la vita è servizio; volli servire e vidi che servire è gioia. (Tagore)

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    Sì, è vero: servire è gioia! Questo l’ho scoperto adesso, dopo più di 15 anni che mi occupo della vendita delle bibbie e di altro materiale di evangelizzazione nella comunità battista di Mottola. Il banco molto vario - anche grazie al fatto che sono socia della Società biblica e in contatto col fratello Pasquale Iacobino che cura la libreria Claudiana a Firenze - presenta bibbie di tipo differente, per grandi e per piccini, dalla Diodati alla Luzzi all’interconfessionale, e per questo mi permette di dialogare con le persone dentro alla comunità ma anche fuori.

    In occasione del cinquecentenario della nascita di Calvino c’è stata una straordinaria offerta sulle bibbie e ne ho ordinate al fratello Pasquale un centinaio di copie, non tante in verità poiché la comunità di Mottola è grande e ne acquista abbastanza; a ciò si aggiungono gli incontri ecumenici durante i quali ho occasione di venderne ai fratelli e alle sorelle cattolici, compresi i parroci che addirittura me le ordinano quando mi incontrano per strada.

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    In un incontro della recente SPUC (Settimana per l?unità dei Cristiani) a un caro amico e fratello cattolico simpatizzante della comunità, Gregorio Mongelli, che possiede una palestra, ho mostrato questa bibbia dal costo di un settimanale: ne ha comprate subito quattro, e poi otto, e poi ancora otto… be’, per circa un mese, ogni volta che andavo in palestra, mi diceva di portargliene altre perché non ne aveva più! Ha venduto bibbie a quasi tutti quelli che frequentano la palestra spiegando l’importanza di averla e di leggerla, coinvolgendomi quando ero presente. Che gioia! E pensare che, sin da quando ero bambina e frequentavo la chiesa cattolica, perché mio padre lo era, il fatto di avere mia madre protestante mi ha permesso di conoscere le due realtà e di essere spronata a leggere per capire e rendermi conto di persona di come stessero le cose… ma, ahimè, non avevo una bibbia e non conoscevo nessuno che me la potesse prestare! Così ho incominciato a ‘rubare’ con intelligenza 5-10 lire ogniqualvolta mi mandavano a fare la spesa, riuscendo a mettere da parte 1.300 lire per poter comperare una bibbia tutta mia. Me la feci comperare dal padre di una mia cara amica, Antonio Greco, che era l’anziano della chiesa battista: è stata la bibbia che mi ha fatto fare la scelta di seguire la chiesa evangelica, che ha fatto convertire me prima e poi mio marito, che ha guidato l’educazione dei miei figli e la conservo ancora gelosamente.

    Spero di poter continuare in questo servizio fino a quando avrò la vita e la forza e di fare più e meglio per la lode e la gloria del nostro Signore Gesù!

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    Gittò la tunica…

    di Angelo Chiarelli

  • La donna benché piccola che sia vince il diavolo in furberia, disse Dante.
  • Chi dice uomo dice danno, chi dice donna dice malanno, disse Dante.
  • Non ti curar di lor, ma guarda e passa, disse Dante.

    Mio nonno Francesco Nicola aveva diverse caratteristiche che lo facevano risaltare. Fra le tante, una era la sua lunga barba bianca che gli dava un senso di imponenza che altrimenti non avrebbe avuto data la sua modesta statura. Un’altra era certamente il fatto che aveva un detto o un proverbio per ogni occasione, con una particolarità originale in quanto tutti i suoi motti erano attribuiti a Dante.

    Una fioritura particolare riguardava le donne:

    E così via. In particolare, ogni volta che, vicino o lontano, appariva la lunga tunica nera del curato, D. Michele, mio nonno se ne usciva in una espressione dal tono abbastanza erudito. Ma prima di riferirla, desidero ricordare altri due piccoli particolari. Il primo è che mio nonno non andava mai a messa. La domenica mattina scendeva puntuale nella piazzetta antistante la piccola chiesa, nel punto più basso del villaggio, e insieme agli altri maschi faceva una specie di corridoio attraverso il quale le donne erano costrette a passare. Più volte il curato si era rivolto ai carabinieri del comune vicino, ma senza alcun risultato, se si esclude un commento beffardo di papanonno (così lo chiamavamo noi nipoti):

    Il secondo aveva una ricorrenza annuale, perché si verificava esattamente ogni 26 agosto. Il 26 agosto era l’anniversario della morte di mio padre, venuto meno quando io avevo dodici anni. Bisogna premettere che mio nonno era l’ufficiale postale del villaggio, pur avendo frequentato le scuole solo fino alla seconda elementare, e che tutti i maschi del villaggio, all’arrivo del procaccia, che portava la posta a piedi dall’ufficio centrale del comune, distante nove chilometri, si affollavano all’interno dell’ufficio postale o fuori se non c’era posto. Anche il curato era sempre presente ed allungava il lungo collo per controllare se qualche missiva a lui diretta non veniva messa nella borsa del portalettere. Ebbene ogni 26 agosto mio nonno chiedeva:

    - Don Michele, può dirmi per piacere quanto costa far recitare una messa di suffragio?
    - Don Francesco Nicola, voi lo sapete, costa cinque lire.

    -Non dite che io non faccio celebrare una messa in suffragio del mio povero Giovannino per tirchieria. Ecco qui cinque lire. Ma non allungate la mano, non sono per voi. Ehi, uno di voi, aggiungeva rivolgendosi agli altri presenti, fate entrare Natale.

    Entrava Natale, il pazzo del villaggio, con un sorriso che gli arrivava alle orecchie, e nonno:

    - Ecco, Natale, cinque lire da spendere come vuoi. In ricordo di mio figlio...

    E il detto che in ogni occasione, all’avvicinarsi di Don Michele, mio nonno pronunciava era:

    - Gittò la tunica Martin Lutero, gitta i tuoi vincoli, uman pensiero, disse Dante.

    A me quelle parole arcane piacevano moltissimo ed avevo imparato anch’io a ripeterle ogni volta che vedevo D. Michele o un altro prete. Nessun problema per qualche anno. Ma in seconda media, quando frequentavo a Potenza il seminario cattolico, un giorno all’arrivo in classe del professore di storia, alto ed avviluppato in una lunghissima zimarra, mi venne spontaneo di dire:

    - Gittò la tunica Martin Lutero, gitta i tuoi vincoli, uman pensiero, disse Dante.

    Credo di aver pronunciato le parole a voce troppo alta, fatto sta che il professore D. Carlo cominciò ad urlare:

    - Chi ha bestemmiato? Chi ha parlato di Lutero? Sarete tutti puniti, se non esce il colpevole.

    Dopo qualche minuto, io mi alzai e dissi:

    - Sono parole di mio nonno, lui diceva sempre…

    - Ho capito che cosa diceva. E’ una bestemmia detta da un ignorante, perché Dante non poteva parlare d’un eretico pericoloso che è nato quasi tre secoli dopo di lui. Comunque tu, Chiarelli, resterai per due ore in ginocchio dietro la lavagna e poi, durante le ore di ricreazione, scriverai per duecento cinquanta volte su un quaderno : Mio nonno è un ignorante.

    Tutto andò come ordinato, con un piccolo particolare. Non si può rimanere per due ore in ginocchio senza fare nulla. Io passai il tempo tirandomi uno ad uno tutti i peli delle sopracciglia, tanto che quando lasciai la lavagna alle spalle, sembravo un mostro!

    - E’ la sorte dei malvagi, commentò il professore.

    A parte il fatto che da allora ho avuto sopracciglia estremamente folte, fu in quel momento che decisi di affrontare papanonno alle prossime vacanze.

    Così feci. Gli chiesi:

    - Papano', com’è possibile che Dante parlasse di Lutero, il peggiore eretico che sia mai esistito, tre secoli prima che Lutero nascesse?

    Ne ebbi una risposta secca:

    - Questo ti basti, e più non dimandare, disse Dante.

    Dovetti aspettare ancora molti anni prima di risolvere l’enigma.

    Indirettamente la soluzione è collegata al mio servizio militare. Eravamo verso la fine della guerra e io fui distaccato con la mia compagnia di genieri a Verona per fare la guardia in un campo adibito a raccolta di prigionieri provenienti da ogni parte del fronte. Ricordo, tra l’altro, di aver fatto conoscenza con un prigioniero russo, Ivan, che dava fondo a tutto il cognac che riuscivo a racimolare e con il generale tedesco Wolf, anche lui prigioniero. Quest’ultimo diceva che io ero sehr gut, perché ero gentile con lui e gli portavo del pane fresco, mentre il suo rancio comprendeva solo cibo in scatola e gallette secche. Facevo lo stesso trattamento anche agli altri prigionieri tedeschi che mi venivano affidati racimolando tutto il pane che avanzava nel nostro reparto e dividendolo fra di loro.

    Fu in quel periodo che assistetti al rientro di alcuni scampati dai campi di sterminio tedeschi per essere ricoverati nell’ospedale del posto. Dalle ambulanze non venivano scaricati sulle barelle, ma trasportati in braccio come dei bambini. Gli infermieri dicevano a noi che stavamo lì attorno a guardare addolorati ed increduli che quei poveretti pesavano fra i trentacinque e i quaranta chili.

    Il generale Wolf mi regalò una camicia e un binocolo di marca Zeiss. Non ricordo che fine abbia fatto la camicia, ma il binocolo fu scambiato qualche anno dopo con due bellissimi volumi delle opere complete di Carducci. Il baratto avvenne con mio fratello Cenzino.

    Tuffarmi nelle poesie di Carducci rinnovò un piacere che mi riportava agli anni della scuola media. Ma fu anche una scoperta.: Carducci non era soltanto il poeta di Il Bove, S. Martino, Il Parlamento…ma anche di Alle Fonti del Clitumno…e tante altre poesie, e poi un giorno scoprii A Satana, scritto nel 1863.

    Qui scoppiò la folgore:

    E voi, che il rabido
    Rogo non strusse,
    Voci fatidiche,
    Wicleff ed Husse

    A l’aura il vigile
    Grido mandate:
    S’innova il secolo,
    Piena è l’etade.

    E già, già tremano
    Mitre e corone:
    Dal chiostro brontola
    La ribellione,

    E pugna e prèdica
    Sotto la stola
    Di fra’ Girolamo
    Savonarola.

    Gittò la tunica
    Martin Lutero;
    Gitta i tuoi vincoli,
    Uman pensiero.”

    Come erano arrivati questi versi a mio nonno? Comunque i suoi tempi dovevano essere stati più tolleranti e rivoluzionari dei miei, e questo vale anche per l’inizio del terzo millennio. Naturalmente il Satana di Carducci non è il Satana della Bibbia, ma è il simbolo del progresso che viene osteggiato perché sfida

    …il dio
    De’ rei pontefici,
    De’ re cruenti..

    Satana è visto come un treno:

    Un bello e orribile
    Mostro si sferra,
    Corre gli oceani,
    Corre la terra:

    Corrusco e fumido
    Come i vulcani,
    I monti supera,
    Divora i piani….

    Sacri a te salgano
    Gl’incensi e i voti!
    Hai vinto il Geova
    De i sacerdoti.

    E sorpresa delle sorprese, a proposito di Martin Lutero ho trovato fra le altre poesie anche due sonetti.

    MARTINO LUTERO

    Due nemici ebbe, e l’uno e l’altro vinse,
    Trent’anni battaglier, Martin Lutero;
    L’uno il diavolo triste, e quello estinse
    Tra le gioie del nappo e del saltero;

    L’altro, l’allegro papa, e contro spinse
    A lui Cristo Gesù duro e austero;
    E di forza i lombi suoi precinse,
    E di serenità l’alto pensiero.

    Nostra fortezza e spada nostra Iddio –
    A lui d’intorno il popol suo cantava
    Con l’inno ch’ei gli diè pien d’avvenire.

    Pur, guardandosi a dietro, ei sospirava:
    Signor, chiamami a te: stanco son io:
    Pregar non posso senza maledire.


    LA STAMPA E LA RIFORMA

    Credo – diceasi; e, come fiere in lustre,
    Sonnecchiando giacean nel chiostro nero
    Codici immani, e il tardo augel palustre
    Porgea la penna al fulmine del vero.

    Penso – si disse; e dritta in piè l’industre
    Arte diè di metallo ali al pensiero,
    Ed ad ogni scoter d’ala uscia d’illustre
    Guerra dal torchio il libro messaggero.

    Ed esce e vola, e al monte e al pian ragiona
    Il piccol libro; e in fier sassone metro
    E latin l’alta sfida a Roma intona.

    Vola; e per l’aere ancor da’ roghi tetro
    Al Zuiderzèe che lieto i lidi introna
    Gitta di Carlo quinto e spada e scetro.

    P.S. In molte altre poesie, e in particolare in: Laude spirituale, Al Beato Giovanni della Pace, La scomunica, Voce di preti, Voce di Dio, Alle fonti del Clitunno, Carducci esprime con forza la sua posizione laica.

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