Un pizzico di sale

Pentecoste 2010 - Una rilettura della Torre di Babele (Genesi 11, 1-9)

22 MAGGIO 2010 - Incamminiamoci con il pensiero verso una delle città più antiche del mondo: Babilonia, luogo di opere di architettura colossali quali la grande torre e i giardini pensili. Il testo parla di testimonianze dell’orgoglio tecnologico per il tempo, i nuovi materiali di costruzione come i mattoni di terracotta e un tipo di amalgama, antenato del cemento.

Beh questa città fu fondata, come tutte le grandi città, da un personaggio leggendario, Nimrod, l’intrepido mitico cacciatore, che secondo la traduzione della “Nuova Bibbia Spagnola” fu il primo soldato del mondo. Fu lui a fondare secondo Genesi 10, 9, le principali città del suo Regno come Babel o Babilonia, Erec, Accad e Calne. Questo fatto insieme ai suoi tratti caratteriali ci lasciano sospettare che abbiamo davanti a noi il tentativo di fondare un impero mondiale. Ed effettivamente Babilonia divenne poi un impero.

La storia ci offre dettagli rivelatori: “Ora tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole” (Gen. 11:, 1).

La verità è che il mondo aveva a quel tempo già alle spalle una storia piuttosto lunga. Sappiamo che il linguaggio si evolve man mano che si sviluppa la cultura del popolo che la parla. In pochi centinaia di anni appaiono nuove forme linguistiche, nuove parole, nuovi dialetti e anche nuove lingue. Il linguaggio non cessa mai di svilupparsi. Così che tutta la terra parlasse “la stessa lingua” e usasse “le stesse parole” sembra rappresentare l’ideale del nascente impero. Gli imperi richiedono uniformità. Usare “le stesse parole” significa essere solidamente unificati nel linguaggio della classe dominante. Gli imperi hanno sempre fatto di tutto per imporre il loro linguaggio e la loro cultura. I romani e i greci sono esempi di grande successo in questo senso.

Così se il nascente impero aveva già il potere militare simboleggiato dal “primo soldato del mondo”, la tecnologia per costruire e l’uniformità culturale, quello che mancava era soltanto un capolavoro dell’architettura quale simbolo di potenza e magnificenza. Un simbolo che lo avrebbe legato anche al potere divino, qualcosa di simile ad un grattacielo, secondo il modello dei famosi templi babilonesi (Ziggurat) che erano costruiti su larghe piattaforme e lunghe scalinate. Ed eccoci sulla via verso la divinizzazione dell’impero e dei suoi imperatori, la via seguita da tutti gli imperi. “Figlio di Dio” era il titolo dato all’imperatore dall’antico Egitto fino agli imperatori romani.

La torre di Babele è il simbolo dell’arroganza, dell’orgoglio e dell’egemonia di un impero che stava cercando di riunire tutti i fili della dominazione e dell’autoritarismo. “Avere una sola lingua e usare le stesse parole” è stato sempre un ideale imperiale. Ecco perché l’intervento del Dio di giustizia si doveva manifestare nell’ambito più vulnerabile; l’ideologia della uniformità imposta andava spezzata e il progetto di divinizzazione paralizzato.

La confusione delle lingue è stato interpretato come un castigo divino della superbia umana. Ma non si dice da nessuna parte che fu un castigo. Al contrario io credo che questa confusione non fu che una saggia benedizione di Dio che fece germogliare la diversità culturale, ivi compreso un elemento di umorismo; quella diversità che è ancora tanto temuta dagli imperialisti, gli autoritari, i violenti, i fanatici dei dogmi, quelli che si credono depositari della verità assoluta.

Questo spazio di diversità è l’opportunità perché possano scaturire i doni di grazia dei quali come esseri umani siamo dotati. Essere quello che siamo, non quello che altri ci impongono di essere!

Vorrei concludere con un commento personale. Quando ho cominciato a studiare musica, tentativo poi fallito per mancanza di talento musicale, mi spiegarono che la melodia si scrive semplicemente su cinque linee e quattro spazi ponendo su di esse e fra di esse le noti brevi, minime, semiminime, crome, semicrome… Mi pareva piuttosto facile finché vidi sbocciare davanti ai miei occhi di ragazzo le infinite variazioni, i toni, i semitoni e gli altri simboli nuovi del linguaggio musicale che mi soverchiarono. La varietà è l’infinita ricchezza della musica. Più varia è la strumentazione di un’orchestra più possibilità ci sono per esprimere la bellezza della melodia.

Ho avuto una esperienza simile con i colori. Non ci sono soltanto cinque o sei colori ma molti toni e sfumature. Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che Dio ami la diversità non la monotonia. Ecco perché ogni giorno vivo lo stupore. Io non giudico come “confusione” tutto quello che non comprendo negli esseri umani. Cerco piuttosto di capire, di aprirmi alla diversità. Ogni volta che senza volerlo reagisco a qualcosa che “non mi piace” mi chiedo se per caso non sia l’imperialista che è in me che si affaccia insidioso. D’altro canto non è vero neanche che accetto tutto in maniera acritica e priva di etica. Al contrario, io credo di identificare l’etica cristiana nell’amore e nel rispetto per il prossimo, quello che Gesù ci ha insegnato; quell’amore che tanto spesso dimentichiamo quando giudichiamo gli altri soltanto perché sono diversi da noi.

-------------------------------------------------

Francisco Rodés è decano del Seminario ecumenico di Matanzas (Cuba) ed è stato primo presidente della Fraternidad Bautista di Cuba, comunione di chiese battiste con cui l’UCEBI intrattiene un rapporto di amicizia e collaborazione

NEV

Calendario biblico 2024

 

 

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili, anche di terze parti. Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta.