Un pizzico di sale

C'è autorità e autorità

ROMA, 19 febbraio 2010 - Le notizie che ci raggiungono ogni giorno danno la netta impressione di un precipitare in caduta libera del senso etico in molti ambiti, primo fra tutti quello politico. Non c’è giorno in cui non vengono scoperti episodi di corruzione diffusa, mentre dilagano comportamenti razzisti ed emarginazione estrema che poi provocano, a catena, violenza e perfino inquietanti casi di guerriglia urbana. Non si affrontano i nodi di connivenza fra le mafie e la politica. Lo smarrimento coinvolge sempre più le fasce giovanili della popolazione il cui disagio prende molte forme, dal bullismo al disincanto.

E’ ovvio che questi fenomeni non sono tanto i frutti avvelenati di una crisi economica grave e foriera di esiti ancor più negativi,  quanto la conseguenza di una preoccupante perdita di riferimenti stabili e condivisi. Man mano che la classe politica dirigente perde credibilità, si aggrava la crisi profonda dell’autorità. Non ne sono immuni i genitori, a volte poco credibili presso i figli, perché immaturi nei comportamenti, o per ragioni diverse gli insegnanti, sfiduciati e avviliti nella loro professionalità, sfidati  dai propri alunni e dai loro genitori. Delle autorità politiche si è detto, mentre l’autorità dei giudici viene ogni giorno screditata dagli stessi esponenti di istituzioni che dovrebbero onorarla. Rimane forse qualche autorità religiosa cui si rende formale ossequio, ma quanto sincero?

La crisi di autorità  è crisi di fiducia e una società in cui crolla la fiducia non può reggere.

Le nostre chiese risentono anch’esse del clima in cui sono immerse. Anche da noi si soffre di sfiducia e disincanto – siamo in questo mondo, non viviamo sulla luna! - e l’alto grado di conflittualità che attraversa a ondate le nostre comunità ne rappresenta un sintomo preoccupante.

L’autocritica è d’obbligo, se non vogliamo fare la parte del grillo parlante che parla saggiamente, ma è condannato all’irrilevanza perché non applica su di sé la stessa unità di misura.

La predicazione di Gesù  Cristo soltanto può sollevarci dalla nostra confusione.

La lettura dei Vangeli può aiutarci a capire che anche la realtà in cui Gesù visse era caratterizzata da un clima di sospetto e da una profonda crisi dell’autorità. Chi avrebbe affidato i propri figli a Erode?  O a Pilato? Come fidarsi di un esercito di occupazione violento e parassita? E i religiosi così intenti a conservare i propri privilegi e la propria rispettabilità nella cornice di una fede ormai mummificata? Erano loro forse più degni di fiducia?

Proprio questi ultimi posero a Gesù la domanda cruciale alla quale egli non rispose mai: quale autorità ti muove? Che diritto hai di fare quello che fai e di dire quello che dici? Chi ti ha autorizzato a criticare l’economia del tempio, a trasgredire la regola del sabato, a perdonare i peccati?

A queste domande Gesù non rispose mai perché la sua autorità non era spiegabile. Di quel tipo di autorità puoi soltanto fare esperienza. La puoi intuire, percepire. Puoi anche tu stupirti di quell’autorità aprendoti ad essa, come infinite volte avvenne a tanti quando Gesù parlava e agiva.

L’autorità a sovvertire le gerarchie, per esempio, proclamando la vicinanza di Dio agli oppressi e agli affamati, prendendosi cura di lebbrosi e pazzi, esclusi e maledetti. Quell’autorità che consisteva nell’essere veramente “autore” delle proprie azioni e delle proprie scelte. Perché Gesù faceva quello che diceva e diceva quello che faceva. Viveva un’integrità, un’unità profonda fra ciò che sentiva e ciò che era. Era uno in se stesso ed era uno con Dio. Tu potevi percepire questo perché lo stesso Spirito che aveva battezzato Gesù, lo stesso Dio che lo aveva chiamato “Figlio” era quello che parlava al tuo cuore. Lo Spirito in te “riconosceva” lo Spirito in Lui. Per questo la gente stupita diceva che egli parlava con autorità, non come i loro teologi di professione (i loro scribi).

Quando Gesù aveva detto ai suoi: “Siate perfetti come il Padre vostro celeste è perfetto”, non parlava di perfezione morale, che non è mai stata alla nostra portata. Parlava di integrità, di essere “uno”, non duplice, di essere veri, non ambigui. Di bandire le maschere, l’ipocrisia e la menzogna.

Oggi l’autorità è in crisi ad ogni livello perché questo è il regno delle maschere. Viviamo un grottesco carosello mediatico, un carnevale endemico che disorienta. Non sappiamo mai chi abbiamo di fronte.

E questa malattia a volte non risparmia le chiese.

La chiesa di Gesù Cristo deve restituire piena fiducia alla parola di Gesù che è parola di Verità. Su noi stessi prima di tutto. Del Cristo che ci vuole al suo seguito siamo chiamati a riconoscere piena autorità sulla nostra vita. Non a parole, ma nei fatti. Dobbiamo presentarci agli altri senza maschere, così come siamo. Senza paura. Con le nostre debolezze. La ragione del nostro spogliarci del vestito buono della nostra rispettabilità sociale è una sola: Dio ci ama così come siamo, accoglie anche la nostra meschinità. Non dobbiamo nasconderla. Egli ci innalza se ci abbassiamo, ci perdona se ci pentiamo. Ci restituisce dignità. Ci chiama figli di Dio.

Noi, Figli di Dio!

Ripartiamo, dunque. Forza! Le nostre coordinate nello spazio e nel tempo le ha già poste Gesù Cristo. E ci ha indicato la via. Perciò facciamoci animo: non ci perderemo!

NEV

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