Un pizzico di sale

Predatori e predati

Il paradosso di un neocolonialismo capace di mistificare ruoli e ragioni!

Gaur non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Verso i nostri datori di lavoro non aveva un atteggiamento servile, e spesso non risparmiava loro le frecciate per il modo in cui trattavano gli africani. “La vostra Gente ci ha rubato la terra” diceva, “e ci ha ridotto in schiavitù. Adesso ci state facendo sputare sangue per riavere indietro i pezzi peggiori.

(Tratto da: Lungo cammino verso la libertà di Nelson Mandela)

 

 

A rigor di logica, un inseguimento a norma di legge è caratterizzato da almeno due particolari: la presenza di un soggetto che rappresenta la giustizia e di un altro che si presume l’abbia violata; il tentativo del primo di arrestare la fuga del secondo. In nessuna circostanza il contrario può rappresentarne quell’eccezione che ne conferma la regola. In altri termini, chi ha mai visto il reo inseguire, in nome della giustizia, la sua vittima per dar seguito alla vessazione?

Per quanto bizzarra ed a rischio di querela possa sembrare la sensazione del sottoscritto, la scena quotidiana (nei sette giorni di vacanza con la mia famiglia sulla costa ligure) in cui le fiamme gialle inseguono i venditori ambulanti (quasi totalmente senegalesi) mi ha fatto credere di essere testimone del paradosso di cui sopra. Lungi dall’esprimere giudizi sulla persona, che in quel frangente rappresenta l’arma e la legge, la mia sensazione può essere compresa, documentata e ritenuta logica da chi è disposto a rivisitare la sanguinosa e centenaria storia del colonialismo.
A tal proposito, per chi (data l’afa stagionale) non fosse disposto a farlo con l’ausilio dei testi storici, consiglio una tranquilla e comoda esplorazione di alcune opere letterarie, cinematografiche e teatrali relativamente recenti.
Potrebbe essere sufficiente trascorrere una mezza giornata a contatto con queste storie per capire le ferite, i crimini, le devastazioni e la profonda ingiustizia perpetrata nei secoli dalla storia coloniale.

Umberto Galeano, in «Le vene aperte dell’America latina», riferendosi allo sterminio di Maya, Inca ed Aztechi, ci parla di «un’opera» dei conquistatori capace di sterminare circa 90.000.000 di persone. Ai tanti che potrebbero, crudelmente, obiettare sostenendo che questa è «roba vecchia», potrei suggerire di guardarsi Blood Diamond, un film che ci presenta il volto sfigurato di quell'Africa ricca di materie prime sfruttate da potenze economiche straniere, per il tramite delle modernissime multinazionali. Parla di diamanti che grondano del sangue di centinaia di migliaia di vittime e delle vite devastate dei bambini-soldato. Parla della relazione tra il commercio dei diamanti e quello delle armi, utili per istigare guerre e favorire le industrie belliche che, a loro volta, concorrono nella sottomissione di nazioni allo scopo di sfruttarne le materie prime. Una storia maledettamente contemporanea, come lo sono quelle di Iraq e Afghanistan, che conferma quanto quella attuale sia la più florida forma di neocolonialismo vivente.

Tutto questo ci rende, in qualità di eredi attivi e promoter attuali dello sfruttamento della povertà, colpevoli di reato contro quell’umanità di cui pretendiamo di limitare il movimento, il diritto alla ricerca della felicità, la liceità di inseguire uno straccio di vita dignitosa. La «moderna» legislatura, quando definisce un uomo colpevole del reato di clandestinità, si macchia essa stessa del medesimo crimine giacché lo alimenta, inducendo una fetta di umanità a vivere nascondendosi. Se poi volessimo sostenere che, oltre alla clandestinità, questi «delinquenti» si macchiano anche del reato di contraffazione, ancora una volta a scagionare i presunti predatori (che si confermano nelle vesti di predati) ci pensa Roberto Saviano con il suo “Gomorra”, nel quale è resa esplicita la connivenza tra le grandi griffe, i loro manager e le mafie locali, che a loro volta assoldano i soliti disperati che dovranno servire poi da bersagli mobili.

È noto a tutti che l’Italia storicamente, con modalità dirette ed indirette, in epoche remote e recenti, si è macchiata del crimine coloniale. Le alleanze dello stivale col resto del mondo, in ogni epoca, rendono il nostro paese un corpo intriso del sangue e del dolore altrui. La povertà altrui ha concorso all’edificazione del nostro impero economico. È questo che rende sostanzialmente ciascuno di noi reo, inconsapevole nella migliore delle ipotesi e non confesso nella peggiore. Del resto, molte delle realtà che siamo ancora disposti a considerare espressione di democrazia, libertà, innovazione tecnologica ed emancipazione sociale, devono la loro «fortuna» alla deportazione, allo schiavismo, all’occupazione del suolo altrui, allo sfruttamento minerario e petrolifero, all’invasione, al saccheggio ed alla sopraffazione sistematica di intere popolazioni.

In queste situazioni purtroppo la «legge» giunge a suggello del maltolto, come strumento per preservare i predatori e il loro bottino da un possibile riscatto dei predati, di generazione in generazione. Si parte, come ben rappresentato nel film Amistad di Spielberg, dalle reti dei mercanti di schiavi che inseguono lungo le coste africane uomini e donne da sottomettere, sino a giungere ai giorni nostri in cui, sulle spiagge italiane, le “forze dell’ordine” inseguono i venditori ambulanti per impedire loro di raccogliere le briciole che sfuggono alle nostre fameliche fauci. Il tutto in nome e per conto di una giustizia, emanazione di uno Stato ed espressione di un Governo che, in particolare in quest’ultimo periodo, non brilla per trasparenza. Nello stesso periodo in cui nella maggioranza di governo si apre una crepa profonda per questioni attinenti la legalità dei suoi rappresentati, proprio nei giorni in cui i ministri cadono come birilli per guai giudiziari, la legalità rappresentata anche da questi soggetti pretende di perseguire il reato di fame e sopravvivenza!




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