Un pizzico di sale

La fede in una parola nuda

Una riflessione sulla sentenza di Strasburgo sui crocefissi nelle aule scolastiche

ROMA, 5 novembre 2009 - Perché non mi sento offesa dalla sentenza della corte europea dei diritti umani di Strasburgo che dichiara che i crocefissi sono una limitazione della libertà dei genitori ad educare i propri figli? Perché non sento che la mia fede ne esce indebolita e la mia identità nazionale mutilata?

Forse non sono abbastanza italiana?  O abbastanza cristiana? O do poca importanza ai simboli? O forse perché quel simbolo in fondo non mi appartiene come credente di fede evangelica battista? Chissà, forse ci sono un po’ tutte queste ragioni nel miscuglio di pensieri che mi attraversano, insieme alla considerazione che mi piacerebbe vivere in un paese in cui tutti possano sentirsi a casa e nessuno pretendere che la propria cultura sia più tutelata delle altre…

Credo però che la considerazione principale risieda in ciò che credo sia proprio il cuore della mia fede e in una domanda di fondo: ma Cristo crocifisso e risorto può essere conosciuto, o rispettato, o amato di più se la sua statuetta viene inchiodata al muro di un’aula scolastica o di un’aula di tribunale? Se la statuetta di Cristo in croce rimane appesa sulle pareti, come vogliono quasi tutti in Italia, anche i partiti xenofobi e intolleranti, ci sono più probabilità che questo paese sia riscattato dalla superstizione? Dal cinismo del potere? Dalla corruzione? Dalla violenza verbale e fisica? Dal razzismo, quello di strada e quello di Stato?

Perché se così fosse, se così si dimostrasse, allora potrei ricredermi anch’io e unirmi al coro di protesta degli indignati, degli strenui difensori della tradizione.

Il fatto è che io non ci credo. Io credo al contrario che ridurre Cristo crocifisso in un segno di appartenenza che marca il territorio di uno Stato e difenderlo come simbolo nazionale sia aver completamente travisato la fede cristiana. Quando Cristo risorto parlò per l’ultima volta ai suoi prima di scomparire ai loro sguardi, mandò i suoi discepoli a diffondere una parola nel mondo. L’annuncio di un perdono donato, il richiamo ad una conversione possibile, la buona notizia di un nuovo patto, di una riconciliazione fra cielo e terra nel corpo segnato ma vivente del Figlio di Dio, morto per amore, risorto per restituire speranza a tempo scaduto. Cristo si affidò ad una parola nuda da annunciare, non a simboli nazionali da preservare. I cristiani dovrebbero farsi portatori disarmati di questa parola e non pretendere niente. Affidarsi a questa parola e non tentare di appropriarsene. Diventare testimoni con i propri corpi di un amore più grande che rinnova e accoglie senza chiedere niente in cambio.

NEV

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