ROMA, 14 febbraio 2022 - Lunedì 31 gennaio alle 10.30 si è svolta presso la Sala Riunioni della Casa Circondariale di Regina Coeli a Roma un incontro con la Direzione del Carcere sull’andamento del progetto itinerante nelle sezioni per il sostegno al lavoro dell’Agente di Polizia Penitenziaria e migliorare la professionalità e la comunicazione nel rapporto con il detenuto. All’incontro hanno partecipato: la Direttrice dell’Istituto Sergi e le Vicedirettrici Bormioli e Passaretti, il Commissario di Polizia Penitenziaria Giacalone, la responsabile dell’area educativa e psicologica De Panfilis, il pastore Giuseppe Miglio Vicepresidente dell’U.C.E.B.I., Stefania Polo responsabile della Diaconia Carceraria della Chiesa Battista di Civitavecchia (proponente il Progetto finanziato con i fondi dell’Opm battista), i partner del Progetto Agenti 2021: Cappellano Vittorio Trani della VO.RE.CO. (Volontari Regina Coeli), Carlo Condorelli dell’Associazione SEAC Coordinamento regionale Lazio, e la psichiatra Mariapaola Recco.
Lo psicologo responsabile del Progetto, Mauro Gatti, ha riferito in una relazione articolata il lavoro svolto nell’anno 2021, precisando che l’attività è stata possibile grazie alle sinergie stabilite con la Polizia Penitenziaria. Infatti, la Direzione nella fase iniziale dell’esecuzione del Progetto, considerata la caratteristica itinerante dello stesso, ha individuato nell’Assistente Capo Coordinatore Cerilli, il referente dedicato alla collaborazione fattiva con il professionista sia per le visite settimanali nelle sezioni dove operano gli Agenti per lo svolgimento del proprio lavoro, sia per segnalargli quegli Agenti con cali di motivazione e malessere psicologico da attenzionare. Questa sinergia tra il Corpo di Polizia Penitenziaria e il professionista, ha permesso la realizzazione degli obiettivi prefissati dal Progetto, prendere in carico gli Agenti per svolgere i necessari colloqui di sostegno. Durante il resoconto, sono emerse diverse considerazioni che hanno espresso l’efficacia del Progetto proprio per la sua caratteristica itinerante la quale, rispetto ad uno sportello, ha la peculiarità di muovere il professionista verso l’agente e non il contrario, come di solito viene interpretato il lavoro dello psicologo.
La ragione di questa attuazione prospettica diversa è dovuta all’interpretazione delle manifestazioni comportamentali Agente, colte a seguito della lunga esperienza negli Istituti Penali del professionista quando questi operava nelle sezioni durante la sua attività di esperto per l’Osservazione e Trattamento della popolazione detenuta prima di essere nominato responsabile del progetto attuale dedicato invece agli agenti. Proprio grazie a questa lunga esperienza penitenziaria del professionista, la Chiesa Battista ha ritenuto di affidargli un Progetto innovativo e altamente mirato alla gestione della popolazione detenuta attraverso il benessere degli Agenti.
Gatti ha precisato che l’Agente per la sua continua attività nelle sezioni accanto al detenuto, struttura nel tempo un comportamento con risvolti psicologici di difficoltà a comunicare le proprie emozioni. Tra le ragioni di questa difficoltà di dare voce all’emozione, impedendone l’espressione, nell’Agente si struttura la continua percezione interiore di una derealizzazione, forma di disagio che indica la perdita di senso, uno stato mentale di continua sensazione che ciò che si sta svolgendo non ha piu senso. Si tratta di una condizione diffusa che finisce per annidarsi nell’ essere della persona aprendo inevitabilmente le porte alla depressione. In sostanza l’Agente rischia di ammalarsi del proprio lavoro.
Si può dunque ritenere che questo operatore delle sezioni, possa essere affetto da una sorta di meglio identificata nevrosi noogena, termine coniato per la prima volta dal celebre psichiatra austriaco Victor Frankl, fondatore della logoterapia. Per nevrosi noogena si intende un vero e proprio disorientamento della mente (nous=mente) che induce lentamente ad una perdita di lucidità psichica. L’attività dell’Agente, è bene ricordarlo, consiste nella presenza continua a fianco del detenuto, per ore, giorni, settimane, mesi, anni, diventando di fatto per il detenuto il primo reale riferimento per ogni necessità pratica e psicologica. Un tempo di lavoro così esteso che non ha solo però una funzione custodiale. L’evoluzione del suo ruolo, infatti, ha oggi collocato l’Agente in un’attività più ampia, diventando un operatore del trattamento con la funzione di garantire la speranza nelle sezioni, come riportato nello stemma araldico del Corpo ‘Despondere spem munus nostrum’ (garantire la speranza è nostro compito). Questa nuova funzione, lo porta al sostegno del detenuto diventando così la persona in grado di intervenire sul suo adattamento in quanto, come poc’anzi ricordato, è sempre lui ad accogliere la prima voce del detenuto.
Ci sono infinite storie rimaste silenziose, di Agenti che hanno salvato le vite di detenuti durante l’espiazione della pena proprio per l’attenzione che viene data alla persona ristretta.
Di conseguenza si deduce che un simile contatto così continuo e ravvicinato, non può non generare una relazione umana conscia e inconscia, che si individua nel termine osmosi penitenziaria. Come avviene per ogni condizione di osmosi - termine che riconduce ad un passaggio di elementi - anche nel carcere si assiste a quel tipo di influenza reciproca che individui esercitano l’uno sull’altro. Basti pensare a cosa può portare un contatto giornaliero di compenetrazione con drammi familiari e personali, con le emozioni, i vissuti, le aspettative, le tensioni - e con tutto ciò che da questo può scaturire e che si può intuire - nella gestione di un individuo deprivato dell’immenso valore della libertà. L’assorbimento costante nell’ambito lavorativo di queste energie continuamente fluttuanti e senza sosta è il primo vero grande incipit della nevrosi noogena. E sempre per osmosi, il malessere che l’Agente percepisce viene captato inevitabilmente anche dalla famiglia e dunque si assiste ad un travaso continuo e transitivo di variazioni del tono dell’umore.
Considerate queste premesse, il senso di aiuto psicologico per l’Agente di Polizia Penitenziaria in questi anni di applicazione del Progetto, è consistito e consiste in primis in una presenza costante del professionista per essere loro vicino dando significato al lavoro di sicurezza e di gestione umana nelle sezioni. Andare psicologicamente verso l’emozione dell’Agente, vale a dire raggiungerlo nelle sezioni, significa di fatto riconoscere l’attività che egli svolge. Il Vice-Presidente dell’UCEBI Giuseppe Miglio ha voluto proprio precisare che il termine Itinerante, caratteristica peculiare del Progetto che dal 2018 la Chiesa Battista ha proposto e lanciato negli Istituti di Pena, è stato ed è proprio rappresentativo di una moderna modalità, quella che porta il professionista ad andare verso la persona e non il contrario come solitamente accade negli sportelli di ascolto. Questa modalità invertita di professionalità, ha poi precisato la Direttrice dell’Istituto Penale di Regina Coeli, diventa essenziale per aiutare l’Agente a dare voce alla propria emozione evitando che quel silenzio emotivo senza alcuna voce, generi disagio e malessere psichico con rischi drammatici. A tale proposito non può non essere ricordata la notizia che il 28 gennaio 2022 è avvenuto l’ennesimo suicidio nel Corpo della Polizia Penitenziaria, in questa circostanza di un Vice-Commissario del Carcere di Enna.
Il secondo elemento portante del Progetto Itinerante, ha poi ricordato Stefania Polo Responsabile della Diaconia Carceraria della Chiesa Battista che ha proposto il Progetto e strutturato al fine di favorire l’espressione del libero pensiero, è l’offerta di un sostegno psicologico senza relazionare circa l’aspetto diagnostico e la valutazione della personalità. E a questa considerazione ha fatto seguito la precisazione del Commissario del Corpo di Polizia Penitenziaria Giacalone evidenziando che la caratteristica di un sostegno psicologico senza alcun fine diagnostico rappresenta per l’Agente la miglior condizione per favorire l’espressione delle sue emozioni senza temere ripercussioni sulle valutazioni e sul merito del proprio lavoro. Dunque, un colloquio psicologico con l’Agente nell’ambito del Progetto deve avere solo la finalità di sostegno con l’obiettivo di consentire la libertà di espressione perché la ricerca di senso è tanto più raggiungibile quanto la persona avverta significanza nelle proprie espressioni verbali emotive e nel sentire riconosciuta la propria persona. In un colloquio aperto e dedicato, abbattere il timore di un giudizio consente all’emozione di ritrovare la voce e quindi rimettere in circolo nella persona tratti di autorealizzazione.
Il Progetto della Chiesa Battista, apprezzato e riconosciuto nella sua efficacia dalla Direzione, dal Corpo di Polizia Penitenziaria, dalle Aree di competenza dell’Istituto romano, dai diversi partner, possiamo così dire che ha concluso la sua opera di Progetto Pilota trasformandosi in un modello cui l’Amministrazione Penitenziaria potrà riferirsi per sostenere, correttamente e in modo focalizzato, il lavoro degli Agenti. Sembrano infatti davvero maturi i tempi per la diffusione di una presenza psicologica nelle sezioni dedicata all’Agente attraverso la modalità itinerante, l’unica che si rappresenta funzionale alla psicologia di questo operatore penitenziario che per il suo benessere psicologico necessita di considerazione e significato nel ruolo che svolge.
Possiamo dunque considerare che si tratta di un modello applicativo che riconosce nella sinergia di squadra la sua vera efficacia, permettendo una presenza attiva del professionista psicologo nelle sezioni e negli spazi del carcere dove è richiesta la sua presenza. Così egli potrà svolgere colloqui interni, ma soprattutto esterni al carcere come offrire una assistenza alle famiglie dove necessario garantendo la necessaria riservatezza deontologica. Inoltre, potrà collaborare nella gestione delle criticità insieme alla Direzione e al Commissario dell’Istituto, per l’offerta di un’assistenza che proviene da un professionista interno, dedicato e che vive insieme con l’Agente la realtà del carcere e le relative immense difficoltà della sua gestione.
Nello svolgimento del proprio lavoro di sostegno al lavoro trattamentale dell’Agente, il professionista nello svolgimento del proprio lavoro collaborerà in modo spontaneo per la formazione e la gestione delle dinamiche della comunicazione nelle sezioni al fine di coniugare l’attività custodiale e la competenza attraverso il catalizzatore della professionalità, condizione oggi indispensabile per svolgere un’attività lavorativa di così alta risonanza sociale.
di Mauro Gatti, responsabile del Progetto Itinerante di sostegno psicologico agli Agenti di Polizia Penitenziaria