ROMA, 23 dicembre 2020 - Pubblichiamo il messaggio di Natale alle Chiese Battiste del presidente dell'Ucebi Giovanni Paolo Arcidiacono.
In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l’impero (Luca 2:1).
Mentre Dio, la Parola, per amore del mondo decretava di abitare “per un tempo in mezzo a noi, piena di grazia e di verità” (Giovanni 1:14) assumendo il volto umano di un “bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia” (Luca 2:12), Cesare Augusto, l’imperatore, si preoccupava di misurare la sua forza imperiale, il suo potere, con il suo censimento.
Diversi secoli prima anche Davide, Re d’Israele, volle misurare la sua potenza ordinando al capo del suo esercito, Ioab, di fare il censimento del suo popolo “perché ne conoscesse il numero” (1 Cronache 21:1-2; 2 Samuele 24:1-2) salvo, poi, a pentirsene: “Io ho grandemente peccato in ciò che ho fatto, ma ora ti prego, perdona l’iniquità del tuo servo, perché io ho agito con grande stoltezza” (1 Cronache 21:7).
I numeri non sono mai muti. Parlano. Esprimono una realtà, un universo, un insieme, una relazione. Restituiscono un esito positivo o negativo o nullo rispetto al quale la comprensione della realtà orienta il senso della vita.
Tuttavia, i numeri possono essere utilizzati e rappresentati per consolidare il potere dei potenti mediante la menzogna e l’inganno. I nostri padri e le nostre madri hanno conosciuto, soprattutto nella prima metà del secolo scorso, come intere popolazioni, nazioni e classi dirigenti abbiano rinunciato a vedere e ad udire ciò che accadeva dietro la propaganda ideologica dei numeri e delle statistiche, da quella per la natalità a quella di segregazione degli ebrei e della Shoah.
Così è stato per la nascita di Gesù. Non è ai “dominatori di questo mondo”, la cui sapienza non è quella della mente di Cristo (1 Corinzi 2:8), che l’angelo del Signore si presenta, ma ai pastori che stanno nei campi di notte facendo la guardia al loro gregge. Non sono i potenti ad essere presi dal timore alla vista dello splendore della gloria del Signore, ma sono i semplici pastori che furono presi da gran timore.
L’avvento della pandemia da Covid-19 ci ha abituato a ricevere quotidianamente i tristi numeri della curva epidemiologica: quanti contagi, quanti ricoverati in terapia intensiva, quanti decessi, ma questi dati nulla ci dicono dei nomi, delle persone, delle storie di chi sta dietro un numero. Né ci raccontano del timore, dell’angoscia e della paura di chi è rimasto solo nella propria casa o nelle RSA o nelle case di riposo, o di chi, privato dal calore affettuoso dei propri cari, è deceduto, vittima della malattia. La pandemia ci dimostra anche che in tempi di minaccia sanitaria globale, le nazioni si muovono ognuna per sé, le une contro le altre, adottando sulla base dei numeri, misure drammaticamente dissimili tra loro.
Il timore di essere contagiati rischia pesantemente di oscurare la gioiosa attesa del Natale 2020. Rischia di annebbiare la nostra capacità di vedere e di udire, così come i pastori videro e udirono.
Nonostante tutto, in questa triste realtà irrompe la buona notizia recata dall’angelo del Signore per tutti e tutte noi:
“Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: Oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia” (Luca 2:10-12)
Cara Chiesa, che osservi le regole del distanziamento fisico, cara sorella e caro fratello, che porti la mascherina, non temere! Il Signore si è chinato verso di te. Egli cammina con te. La Sua grazia ti trasforma in una nuova creatura. In Lui tu non sei più un anonimo numero, perduto nelle insidiose strettoie del potere e del peccato. Il Signore ti chiama per nome per vivere gioiosamente nella relazione d’amore con Dio le sue promesse.
Nella storia umana ci sono state condizioni più gravi fatte da tragedie tremende e da genocidi. In questo tempo di sospensione e di restrizioni, mi piace qui condividere con voi tutti le parole di Bonhoeffer scritte dal carcere di Tegel:
“Da un punto di vista cristiano, non può essere un problema particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione. Molti in questo carcere celebreranno probabilmente un Natale più ricco di significato e più autentico di quanto non avvenga dove di questa festa non si conserva altro che il nome. Un prigioniero capisce meglio di chiunque altro che miseria, sofferenza, povertà, solitudine, mancanza di aiuto e colpa hanno agli occhi di Dio un significato completamente diverso che nel giudizio degli uomini; che Dio si volge proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distogliersi; che Cristo nacque in una stalla perché non aveva trovato posto nell'albergo; tutto questo per un prigioniero è veramente un lieto annuncio. Credendo questo, sa di essere inserito nella comunità dei cristiani che supera qualsiasi limite spaziale e temporale e le mura della prigione perdono la loro importanza.” (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, Cinisello Balsamo [MI], Ed. Paoline, 1988, p. 324).
A noi oggi è dato, nella fede in Gesù Cristo, come ai pastori che andarono fino a Betlemme a vedere ciò che era avvenuto e che il Signore aveva loro fatto sapere, di glorificare e lodare Dio per tutto quello che abbiamo udito dalla Sua Parola creatrice e visto nella nostra vita. Facciamolo con gioia, con inni di lode e con preghiere di ringraziamento e di intercessione.
Un fraterno saluto
Giovanni Paolo Arcidiacono